Noci: mangiamo il seme, il frutto o il gheriglio?
È arrivato il periodo natalizio, e nelle case della maggior parte delle persone, piuttosto che nei supermercati all’interno del banco della frutta e verdura, è abitudine scorgere questi cesti pieni di noci. Tutti le mangiano, ma forse in pochissimi sanno i segreti che questi frutti portano con sé.
Con il termine “noce” si indica il frutto dell’albero Juglans regia, una pianta di origine asiatica, oggi molto diffusa in Europa e soprattutto in Italia.
Il nome è stato coniato in onore di Giove: “Jovis glans” cioè la “ghianda di Giove” visto che per gli antichi Romani il noce era l’albero consacrato al re degli dei.
Insieme alle mandorle, alle nocciole, ai pinoli e ai pistacchi, la noce fa parte di quella che comunemente tutti noi definiamo “frutta secca”, ovvero ricca di grassi e povera di zuccheri, perciò è importante fare attenzione a non esagerare nel consumarla.
Lo sapevate che quando mangiate una noce in realtà non state mangiando un frutto, ma un seme?
Parlando in termini botanici, il frutto del noce è una drupa composta da un involucro esterno carnoso e odoroso che prende il nome di “mallo” (definito “mesocarpo”), da un nocciolo interno legnoso diviso in due valve che prende il nome di “endocarpo”, contenente all’interno il seme detto “gheriglio”, che è ciò che della noce mangiamo.
Il gheriglio, coperto da una pellicola che imbrunisce a maturità, è diviso in quattro lobi separati da un tramezzo membranoso che nel tempo si secca e si indurisce. La forma ricorda vagamente il cervello, tanto che la noce è stata definita fin dai tempi antichi il frutto “cerebrale”: nel ’500 il medico Paracelso prescriveva questo frutto per risolvere i disturbi mentali, dal semplice mal di testa fino alla pazzia.
Il naturalista Plinio definiva la “noce” come alimento non facilmente digeribile, generalmente gettata ai convitati a un matrimonio per significare le nuove responsabilità assunte dagli sposi, ma quanto a cibarsene, meglio lasciarla agli animali! Il pesante giudizio venne però riscattato in seguito dal medico Galeno, che ne affermò al contrario la validità come tonico e astringente, proprietà oggi confermate assieme a un’ulteriore interessante qualità: bastano tre sole noci al giorno per abbassare progressivamente il colesterolo “cattivo” LDL!
Tra i numerosi impieghi che si sono sempre fatti di questa pianta sicuramente quello della produzione dell’olio, laddove non era diffusa la coltivazione delle olive.
Esiste poi anche il vino di noci che si ottiene facendo macerare foglie e germogli nell’alcool. Dalla lavorazione del mallo invece, si ottiene il nocino: un liquore famoso in tutto il mondo.
L’albero del noce, infine, è molto ricercato anche per il suo legno, considerato di ottima qualità e dal colore caratteristico.
La raccolta dei frutti avviene in settembre: si può procedere a mano, aspettando la naturale caduta a terra delle noci, oppure scuotendo meccanicamente la pianta con delle pertiche. Una volta raccolti, i frutti possono essere conservati anche per 6-7 mesi, sgusciandoli al momento dell’uso, per evitare l’irrancidimento. Detto questo buona mangiata di “gherigli” a tutti!
(di Riccardo Di Giuseppe – Naturalista, Resp. Oasi WWF Litorale Romano)
Buon articolo. Chiarisce bene da cosa è formato il frutto della noce
Però nessuno dice mai come si chiama la membrana legnosa e sottile che separa le due parti de gheriglio, che è ciò che mi interesserebbe sapere. Mi aiutate?
“Piuttosto che nei supermercati” nel senso che là non si trovano?
Bella segnalazione! Smettiamo di usare a sproposito “piuttosto “.