L’ULTIMO BUTTERO DELLA MAREMMA LAZIALE
Sono andato nel cuore della tenuta di Castel di Guido. Percorsa una strada sterrata, piena di buche e polverosa sono arrivo fino a un casolare rosso sbiadito dell’ente Maremma. Quel casolare è immerso completamente nella campagna romana, in un paesaggio che sembra un dipinto: da lì sopra, siamo in zona collinare si vede la piana di Maccarese e il mare. Qui vive con la sua famiglia Domenico Frascarelli, classe 1954, l’ultimo buttero della maremma laziale. È proprio lui che sono andato a intervistare. Arrivato in casa sono accolto a gran festa da tutti; Loredana la moglie, una vera forza della natura, ha già messo su il caffè e già ha preparato per dopo quando andrò via: dieci uova fresche del loro pollaio avvolte nel giornale, erbe aromatiche essiccate, tre pezzi di tartufo nero lo “scorsone” raccolto da Domenico nelle sue passeggiate e poi ancora salcicce, marmellate, prodotti sott’olio tutto rigorosamente fatto in casa. Insomma andrò via con un fagotto pieno di cose da mangiare;la generosità in questa casa la fa da padrone.
Allora Domenico sei un buttero giusto?
Si proprio così, ormai andato in pensione. Un buttero dell’agro romano o della maremma laziale per ben 42 anni. Il buttero non é altro che il custode, il guardiano a cavallo di una mandria; siamo cavalcanti da più di tre generazioni e allevatori di bestiame brado, precisamente di maremmane. Già all’epoca mio nonno che era del 1800 e qualcosa, non ricordo di preciso, faceva la transumanza da Camerino fino ai monti della Tolfa.
Come si svolgeva il tuo lavoro?
A Castel di Guido governavo un nutrito branco di vacche maremmane dalle lunghe corna, una specie protetta dall’Unione Europea. L’allevamento di questi bovini veniva praticata da noi butteri a cavallo secondo antiche modalità. Nelle diverse operazioni lavorative come spostamenti, sbrancamenti e recuperi di capi, ci servivamo di fischi, richiami e grida con cui comunicavamo con le vacche. Tutto questo era frutto di un lungo apprendimento orale fatto di saperi e di tecniche tramandati di padre in figlio.
Nel mondo dei cavalli sei molto conosciuto non solo nei dintorni di Roma, ma anche in altre parti d’Italia perché sei un bravo domatore; L’amore per questo animale nasce da lontano, vero?
Mio nonno faceva l’allevatore di bestiame a cavallo a Tolfa. Dopo di lui anche mio padre e poi anche io più tardi. Negli anni sessanta, io ero un ragazzino e non era un periodo buono per l’agricoltura; allora mio padre lasciò perdere di fare il buttero e venne a lavorare nelle zone di Palidoro e Maccarese. Lì purtroppo non c’erano i cavalli. Però fin da bambino avevo una passione per questo animale. Arrivato a Palidoro già da piccolo montavo tutte le vacche della latteria, saltavo in groppa anche ai vitelli.
Poi però con la famiglia ti sei trasferito a Castel di Guido, e lì c’erano i cavalli giusto?
Siamo venuti a Castel di Guido perché il direttore dell’azienda, gli fece una proposta a mio padre: gli chiese di fare il capo del bestiame maremmano che si chiama il massaro; di conseguenza c’erano i cavalli. Appena gli adulti si distraevano oppure quando stavano a pranzo io gli rubavo i cavalli; ancora mi ricordo, li cavalcavo senza sella, a pelo, libero nei prati. Nei campi poi era pieno di cardi con le spine che pizzicavano le zampe al cavallo e gli facevano fare grandi salti. Quanto mi gustava, avevo una passione sviscerata per loro.
È vero che ti sei messo in competizione con i cavalli?
Si mi sono messo in competizione come fa un motociclista con la sua moto: fino a quando non raggiunge i 300 chilometri all’ora non é soddisfatto, é una sfida con te stesso. Un giorno trovai un cavallo cattivissimo, che nessuno era riuscito ad addestrare, ma io ci riuscii. Da quell’evento ho preso coscienza delle mie qualità e mi sono appagato e nello stesso tempo ho cominciato a fare un discorso più sensato.
In che senso?
Ho cominciato a pensare: sono più forte io oppure il cavallo? Con che cosa va dominato? Naturalmente con l’intelligenza! e allora ho iniziato a studiare la loro psicologia. Avevo capito che ogni cavallo era come una persona, ognuno diverso dall’altro e sei tu che ti devi adattare. Sono passato allora da una doma tradizionale tipica dei butteri, molto aspra, fino a capire poi il comportamento dell’animale senza corda, sella e senza costrizione alcuna.
Come andò quella volta a Roma, precisamente all’Olgiata?
Un giorno mi hanno portato da un famoso oculista che possedeva all’Olgiata un allevamento di cavalli arabi. C’era una cavallo da addestrare, che girava nel tondino e io e altri domatori lo osservavamo da fuori del recinto. Mentre girava questo cavallo si concentrava su di me, quando mi passava davanti infatti rallentava. Allora ho recepito la sensazione e mi sono spostato per vedere se era come pensavo. Anche nell’altra posizione quando mi passava davanti rallentava, e lo faceva solo con me. Mi aveva scelto, voleva essere cavalcato; quel giorno lo montai ed era docilissimo.
Quello del buttero è un lavoro a stretto contatto con la natura, vero?
Grazie a questo lavoro ho potuto conoscere tutto sui cicli della natura; conosco il comportamento e la vita degli animali selvatici e ho approfondito la conoscenza delle piante, dei funghi, fossili e conchiglie e anche di reperti antichi. Queste conoscenze le ho apprese anche dai vecchi: per mio nonno e poi mio padre per esempio conoscere le piante selvatiche significava sopravvivere. Loro quando guidavano le mandrie in campagna portavano con se nella famosa catana di Tolfa un tozzo di pane; poi con il coltello raccoglievano le erbe selvatiche che naturalmente conoscevano tutte e si facevano la zuppa di verdure. Cuocevano tutto in un caldaio con un pezzo di lardo di maiale, e quello era il pranzo.
Hai tantissime passioni, sei praticamente un artista, da dove derivano?
Vedi è proprio il contatto con la natura che ti porta a essere così; chi è asettico non sviluppa niente, è la natura che ti fa sviluppare le passioni e i sentimenti. Ecco perché ho la voglia di scrivere, disegnare e dipingere. Ho imparato l’arte dei bastoni, di scolpire il legno, lavoro il cuoio e forgio le lame. Della natura prendo le cose migliori e apprezzo tutto. L’arte è un energia che si carica dentro di noi, e se non vuoi innervosirti la devi far sfogare così da lasciare spazio alla mente. Ecco perché ho un taccuino e a volte mi fermo e comincio a scrivere e disegnare.
Da buttero sei diventato un filosofo!
Il buttero sta molte ore solo in campagna e per questo sviluppa la capacità di pensare e ragionare, di valutare tutto. Io per esempio sono un pensatore continuo, sono sempre distratto perché penso troppo. Ho dovuto fare anche degli esercizi mentali per potermi concentrare sulle cose serie perché la mente spaziava ovunque. Il cavallo per me era diventato come una poltrona, ero talmente padrone che mentre cavalcavo la mente se ne andava dove voleva; il cavallo andava da solo, basta che piegavo una spalla e lui cambiava direzione, eravamo come una persona sola.
Hai scritto anche tante poesie in romanesco volgare, ne ricordi qualcuna?
Si una era sulla “merca” del bestiame che recitava così :
A maggio la campagna romana è un verde paesaggio
de mille colori ce famo maggio
ma de sta natura che c’avemo intorno non è che non apprezzamo
ce ne frega quasi un corno
perché noi butteri na cosa sola ce passa pe la testa
la merca che per noi è una gran festa.
La mattina appena se fa giorno
saccende il grande focolare e tutti quanti glie stanno attorno
se scherza in allegria aspettando il via.
Con uno sguardo le giumente scelte il giorno prima e se ne rifà la stima
e tutti diventamo intenditori di future vacche e futuri tori.
Daje regà li ferri so roventi se famo sotto a lavorà tutti contenti
chi a la testa chi la coda la bestia impasturata casca per terra stramazzata
il massaro con l’asta infocata na botta e na fumata
la bestia è già marcata
così via via con grande maestria se stampa numeri come na tipografia …
É vero che sei appassionato dei fratelli Coleman?
Molto! Sono due tra i pittori più famosi della campagna romana. Proprio perché sono appassionato di cavalli, bestiame e natura è impossibile non notare e apprezzare i loro dipinti e per questo mi diverto a imitarli.
Lo consci Umberto Scotti del Branco di Fregene?
Certo, che lo conosco! Umberto é una persona straordinaria, che stimo molto, colto e intelligente, veramente un grande maestro e sono felice che all’inizio gli ho dato una mano nel mettere su la sua realtà.
Domenico é una persona vera e autentica, che ha passato un’intera vita da capo buttero in sella al suo cavallo. Quella del buttero è una vita non sempre facile: tutti i giorni sotto il sole o la pioggia, oppure contro il vento che taglia la faccia. Ma il contatto con la natura ti da tanto e ti appaga, e Domenico ne è l’esempio. Un uomo semplice a prima vista, ma che racchiude in realtà grande cultura, sapere e generosità. Anche se andato in pensione, il legame, la passione per i cavalli e il suo lavoro sono ancora vivi e forti; come direbbe lui, un amore sviscerato, marcato a fuoco sulla sua pelle. Oggi nella zona di Roma i butteri come lui si contano con le dita di una mano, e lui è uno dei pochi rimasti. E allora sogno di vederlo coinvolto in un progetto di turismo equestre per uno sviluppo sostenibile del nostro territorio. In fondo è ambasciatore, custode e maestro di vita.
(di Riccardo Di Giuseppe, Naturalista e Resp. Oasi WWF Macchiagrande)
Che bello leggere questo articolo, mi ha fatto ricordare mio nonno. Anche lui era un buttero dell’azienda di Castel di Guido e da piccolo mi raccontava tante storie di cavalli.
Domenico è cosi, naturale in tutte le sue espressioni. Era così anche quando andavamo a scuola. Un giorno passerò anche io a trovarlo. Massimo Vergnani